Sono arcobaleni di colore pietrificati nel legno. Un rompicapo di geologia, meteorologia e logica. Ma uno spettacolo assolutamente straordinario. Il Petrified Forest National Park conserva come in uno scrigno gelosamente custodito la testimonianza di un remoto e affascinante passato. Attraversando oggi gli altipiani dell’Arizona nordorientale resta piuttosto difficile credere che da queste parti, una volta, cresceva una grande foresta equatoriale.
E un’altra straordinaria avventura, un’altra scheggia di storia di quel piccolo pianeta del sistema solare che chiamiamo Terra. Scoperta alcune migliaia di anni fa dagli Anasazi, la Petrified Forest ospita all’interno dei suoi confini evidenze archeologiche e incisioni sulla roccia di non meno di 300 insediamenti indiani anche se nel 1540, quando gli spagnoli iniziarono a esplorare tutta l’area, gli ultimi indigeni da tempo, probabilmente intorno al 1400, erano andati in cerca di altre terre. Le culture indiane sono sempre rimaste molto impressionate dagli alberi di pietra.
John Wesley Powell, il primo a violare le acque della gola del Grand Canyon, durante una delle sue esplorazioni del Colorado Plateau aveva notato che i Paiute ritenevano che i resti pietrificati fossero le frecce del loro dio del tuono, Shinuav. Dal canto loro, i Navajo erano convinti che si trattasse delle ossa del mostro Yiesto, il “Grande Gigante” ucciso dai loro antenati quando giunsero nel Sudovest. 225 milioni di anni fa, nel periodo che gli scienziati chiamano Triassico, i continenti erano fusi insieme in una singola placca di crosta terrestre chiamata Pangea e la nostra Foresta Pietrificata allora altro non era che una delle tante, adagiata in un bacino paludoso nei pressi della linea dell’Equatore.
Felci e muschio facevano da contorno ad alberi di alto fusto, oggi estinti, che coprivano il territorio percorso da mostri antidiluviani come dinosauri ed enormi anfibi. Da allora tutto è cambiato. I continenti sono andati a spasso per gli oceani e dell’antica Pangea rimangono solo pochi ricordi ed alcune evidenze geologiche come, per esempio, l’ampia falcatura dell’Africa occidentale che si sposa idealmente, e perfettamente, con i bordi convessi dell’America Latina. Sconvolgimenti tellurici, climatici e chimici hanno scompaginato anche il volto della nostra foresta equatoriale.
Mentre la latitudine correva inesorabile verso nord con la deriva dei continenti, i giganteschi alberi caduti si impilavano nelle acque ferme della palude dove finivano per ricoprirsi di sedimenti, fango e ceneri vulcaniche delle eruzioni frequenti nella regione. Ciò avrebbe prodotto, con il trascorrere dei millenni, il fenomeno naturale che possiamo ammirare. In realtà, il fenomeno della fossilizzazione, di cui la pietrificazione del legno è un aspetto particolare, è un fenomeno ancora oggi molto controverso tra gli studiosi. Sappiamo che quando un organismo muore i suoi resti vengono divorati dai predatori, grandi animali o minuscoli batteri, oppure inizia il processo di alterazione dei singoli componenti per opera degli elementi naturali.
Gli alberi della Foresta Pietrificata, invece, furono preservati dalla decomposizione forse a causa della mancanza di ossigeno mentre l’ambiente da cui erano circondati si arricchiva sempre di più di silice. Temperatura, umidità, profondità, caratteristiche dei sedimenti, assenza di ossigeno e chissà quali altri fattori innescarono così un processo a catena dalle formidabili ripercussioni. La pietrificazione dei legni, vale a dire una sorta di sostituzione della pietra al legno, che osserviamo nel National Park è riconducibile a due categorie specifiche, ben conosciute in chimica geologica. Il primo tipo, che raggruppa la maggioranza dei casi, si verifica quando tutta la materia organica è stata rimpiazzata da materiale minerale. Il risultato finale è quello di un fossile che mantiene la forma esterna dell’oggetto primitivo ma poco o niente della sua struttura interna originaria. Il secondo tipo di pietrificazione viene chiamato permineralizzazione e in questo processo il dettaglio cellulare del fossile può ancora essere osservato con un potente microscopio.
Un meccanismo abbastanza semplice, in apparenza, attraverso il quale la silice disciolta nelle acque della palude ha riempito, saturato e infine sostituito le cellule lignee per poi ricristallizzarsi in tessuto minerale per dare vita al legno pietrificato. Successivamente la regione venne inondata e completamente sommersa dalle acque mentre depositi sempre più fitti di materiale sedimentario seppellirono ancora più profondamente i fusti dei legni caduti. Alla fine, la zona venne di nuovo trasformata tramite un violento innalzamento della crosta terrestre. L’emersione ha spezzato i tronchi degli alberi nelle sezioni e nei segmenti che oggi possiamo osservare.
Quando l’erosione del vento e dell’acqua spianò i rilievi, modellando il panorama sino a creare i lineamenti spettacolari dell’Arizona settentrionale, i resti di quella foresta equatoriale, scolpiti in quelli della Petrified Forest tornarono alla luce dopo un sonno di oltre 200 milioni di anni. La Petrified Forest ha funzionato come una cassaforte a prova di bomba e di secoli… Contiene infatti una grandissima varietà di fossili, le più precise e antiche fotografie del grande libro della natura, pietrificate o conservate per compressione, che ci offrono un panorama scrupoloso della flora e della fauna di quella foresta carica del peso di oltre 200 milioni di anni.
Fossili di pesci sbucati dai corridoi oscuri del Triassico, incluse due varietà di squali, sono stati scoperti insieme ai resti di numerosi rettili e dinosauri tra cui un un rettile simile al coccodrillo che poteva arrivare sino a dieci metri. Ma quello che ci stupisce di più, passeggiando in mezzo a questa pianura, non sono i fogli strappati di un calendario troppo antico anche solo da concepire oi processi chimici e fisici che fanno la gioia di paleontologi entusiasti. Sono invece i colori, le ombre, le sfumature e le forme che danno vita a questa scultura naturale, uno spettacolo unico che, anche questo, non ha pari nel resto del mondo.